mercoledì 10 giugno 2015

Lupa Capitolina

La Lupa Capitolina è una statua in bronzo, situata al centro della Sala della Lupa. 
La datazione dell’opera, tradizionalmente oscillante all’interno della prima metà del V secolo a.C., con numerosi confronti nelle produzioni figurate italiche e greche, è stata rimessa in discussione dal risultato di analisi al Carbonio14 eseguite su resti di materiali organici conservati all’interno dei resti di fusione, che ne porterebbero la datazione ad età medievale. 
 La scultura, donata al popolo romano nel 1471, divenne il simbolo di Roma quando, trasferita in Campidoglio, al bronzo antico furono aggiunti i due gemelli Romolo e Remo, mitici fondatori della città. Da allora l'opera è conservata in questo Palazzo e, secondo le testimonianze dell'epoca, nel XVI secolo era collocata in questa stessa sala, anticamente uno spazio aperto sull'esterno con tre archi. La loggia fu decorata tra il 1508 e il 1513 con il ciclo di affreschi attribuiti a Jacopo Ripanda. Il successivo inserimento di due grandi lapidi ha causato la perdita di gran parte della decorazione, che oggi si conserva in uno stato estremamente frammentario.
 Sulla parete di fondo della sala nel 1586 furono composti in una struttura marmorea dalla elegante architettura classica i Fasti Consolari e Trionfali, un documento storico di eccezionale valore, che riporta su tavole in marmo i nomi di coloro che nell'antica Roma avevano ricoperto il consolato o avevano celebrato il trionfo. Queste tavole, trovate nel Foro Romano nel XVI secolo, in origine erano inserite in un arco di trionfo eretto nel 19 a.C. in onore dell'imperatore Augusto. 
Prezioso è il mosaico pavimentale, manufatto antico rinvenuto nel 1893 e ricomposto in questo ambiente così ricco di straordinari elementi simbolici.
Articolo di Valerio M.

Sala di Annibale

La sala, dedicata alla narrazione di episodi delle guerre di Roma contro la rivale Cartagine, prende nome dall'immagine di Annibale sulla parete centrale, una raffigurazione dal carattere ingenuo e in parte fantastico. 
L'ambiente è l'unico del nucleo quattrocentesco dell’Appartamento pervenuto senza profondi cambiamenti e successivi interventi.
 Gli affreschi alle pareti, attribuiti convenzionalmente al pittore Jacopo Ripanda (pittore bolognese documentato tra il 1485 e il 1516), rappresentano la testimonianza più completa del primo ciclo decorativo del Palazzo, eseguito nel primo decennio del 1500 e che interessava anche le altre sale dell'Appartamento.
Le scene storiche sono inquadrate da pilastri angolari con candelabri a grottesche su fondo dorato, alla base un fregio con busti di generali romani e decorazione a grottesche che presenta ampie lacune dovute all'inserimento di epigrafi, successivamente rimosse. Particolare è l'influsso che lo studio dell'arte antica esercitava sui pittori che lavorarono a questo ciclo di affreschi, come si può notare nella scena di battaglia navale che ripropone schemi figurativi ripresi dalla Colonna Traiana o, anche, nel raffinato disegno delle grottesche presenti nella decorazione. 
Nel riquadro centrale del soffitto ligneo, il più antico del Palazzo, realizzato nel 1516-1519, compare per la prima volta la Lupa che allatta i gemelli, utilizzata come elemento decorativo e come riferimento simbolico alle origini della città.
Articolo di Daniele C.

Seppellimento di Santa Petronilla

Ogni anno il 31 maggio viene onorata e santificata Petronilla, che era una martire, figlia carnale o spirituale di Pietro, probabilmente tale l’attribuzione della figlia deriva dalla somiglianza dei loro nomi e dal fatto che lei fosse una convertita di San Pietro.
Petronilla morì nell’età giovanile prima del suo matrimonio ingrato poiché aveva offerto la sua verginità a Cristo; il suo corpo venne sepolto nel cimitero Domitilla a Roma, ma successivamente venne trasportato nella basilica vaticana.


Di grande importanza e di grande bellezza fu la rappresentazione del Seppellimento di Santa Petronilla di Giovanni Francesco Barbieri detto “il Guercino” pittore del Seicento (1591-1666), venne edificata nel 1621 per papa Gregorio XV; una copia della pala è conservata nei musei capitolini, venne prodotta su olio a tela ed è alta e larga 720 x 423; il dipinto è diviso in due fasi : 

  1. Nella prima fase è illustrato il seppellimento di Santa Petronilla; 
  2. Nella seconda fase Petronilla è dinanzi a Cristo. 
Nella parte inferiore Petronilla è abbandonata a sé stessa con il volto esposto al cielo e con indosso una corono ornamentata di fiori di colore bianco che adorna alla verginità e il rosso rappresenta l’amore eterno, alla sinistra e alla destra di essa sono presenti delle persone che osservano una delle quale ha in mano una candela, segno della fede cristiana. 
Nella parte superiore ci sono numerosi nubi e numerosi angeli, Petronilla si presenta con una corona d’oro dinanzi a Cristo. I personaggi sono rappresentati con realismo che ci ricordano Caravaggio e il dipinto è fortemente chiaroscurato. 
Guercino, in questa opera, riesce vittoriosamente a unire i due stili molto in voga nel seicento, il classicismo di Annibale Carracci e Caravaggio che è il maestro delle luci e del realismo. Per concludere, l’opera ha un grande valore religioso, caratteristica del seicento, e i personaggi sono realistici e infine l’architettura, la pittura e la scultura si fondono e rende affascinante la scena. 
Articolo di Nane B.

lunedì 25 maggio 2015

Le navi di Caligola a nemi

Il lago di Nemi è il più piccolo dei laghi di origine vulcanica che si trovano sui colli Albani, nei pressi di Roma.
La località intorno al lago era sacra a Diana, per cui vi era stato costruito in epoca antica un tempio dedicato alla dea dei boschi.
In età imperiale, Caligola fece costruire sul lago, per trascorrervi i suoi otia o per celebrarvi riti e feste in onore di Diana, due gigantesche navi ricche di sovrastrutture murarie ed impreziosite di bronzi, marmi ed altri materiali pregiati.
Le due navi, a chiglia piatta, interamente conservate, misuravano una m 73 di lunghezza x 24 di larghezza e l'altra m 71 x 20, ambedue in robusto fasciame di pino, rivestite esternamente di lana catramata e di lamiere di piombo, fissate al fasciame con chiodini di rame.
La certezza dell'identità del committente si raggiunse quando, fra i numerosi reperti estratti dalle acque, comparvero le così dette fistula e acquarie, sulle quali era inciso il nome di Caligola.
Erano le grandi tubazioni in piombo di un impianto idraulico accessibile solamente a persone particolarmente ricche e potenti dell'antica Roma, che portavano l'acqua corrente sino all'interno di palazzi patrizi, dove veniva utilizzata per bere e per alimentare le fontane fastose.
Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente, su cui si stampigliava il nome del proprietario, spesso il nome del "liberto idraulico" e a volte il numero progressivo.
Sulle navi Caligola fece erigere costruzioni analoghe alle ville patrizie, con terme e templi coperti da tegole in terracotta oppure di rame dorato. E poi colonne di varia grandezza e foggia, pavimenti in mosaico, statue e altre opere in bronzo finemente lavorato, protomi leonine, ghiere per i timoni, erme bifronti che costituivano una balaustra; strumenti e suppellettili di artistica fattura.
L’archeologia marinara trovò un tesoro inestimabile nelle due grandi ancore: la prima in legno con ceppo in piombo della lunghezza di 5 mt rappresenta l’unico esemplare completo conosciuto all’epoca di questo tipo. La seconda, in ferro a ceppo riscuote un incredibile interesse dal momento che si credeva ideata dal capitano inglese Rodger e che era stata presentata all’Esposizione del 1851 come una grande novità.
La Commissione arrivò ad escludere che l’incendio fosse stato provocato da bombe di aviazione e da proiettili d’artiglieria, concluse che l’incendio degli scafi e dell’edificio fosse di origine dolosa, considerati anche i danneggiamenti volontari inflitti dai soldati tedeschi al patrimonio archeologico del Museo e il mancato utilizzo dei sistemi di spegnimento in dotazione
Così furono distrutte testimonianze archeologiche uniche per importanza e stato di conservazione.
Oggi ci rimangono fotografie e pubblicazioni che ci ricordano questa gloriosa, ma sfortunata impresa.

Articolo di Jacopo D.

giovedì 21 maggio 2015

Il camillo.

Il Camillo o Camillus in latino era, nel mondo romano, il giovane che aiutava il sacerdote nelle cerimonie di sacrificio agli dei. È una statua fatta di bronzo fuso, con gli in argento, indossa una corta tunica senza maniche, stretta in vita da una cinta chiusa con un fiocco,inoltre è decorata con due strette fasce verticali fatte di rame che riproducono le strisce di porpora delle figure di offerenti.
La figura armonizza elementi iconografici e concezioni plastiche provenienti da epoche diverse dell’arte greca fondendole in un gusto elegante e raffinato.
La testa mostra caratteri femminili e rimanda ai modelli delle Dee greche di età classica nella resa della pettinatura, della fronte e delle sopracciglia.
Se la testa mostra caratteri femminili, le proporzioni del corpo, la modalità di composizione e di adattamento della veste al corpo sono piuttosto di tipo maschile.
La distribuzione del peso del corpo ricorda quello di un’altra statua nel tempio di Era (la statua era dedicata ad Ebe la giovinezza), dalla quale potrebbe essere stato ripreso sia il gesto sia più in generale lo schema iconografico del Camillo.
L’ambigua caratterizzazione sessuale di questa figura ha portato nel tempo a differenti interpretazioni.
La datazione è da porsi in età claudio-neroniana (14 a.C-68 d.C.) in base alle caratteristiche di realizzazione della veste e di alcuni caratteri del volto e della capigliatura.

Articolo di Alessio F.

Lo Spinario

Lo Spinario è una scultura ellenistica, raffigurante un giovane seduto mentre, con le gambe accavallate mentre si sporge di fianco per togliersi una spina dalla pianta del piede sinistro.
La statua probabilmente inspirò il mito di Gnaeus Martius che, incaricato di consegnare un importante messaggio al Senato compiendo un lungo tragitto, si affrettò ignorando la spina che gli era entrata nel piede, fermandosi per estrarla solo a missione compiuta.
Oggi si pensa che lo spinario capitolino sia una statua composta da due parti ed assemblata nel I secolo a.C., con il corpo ellenistico e la testa più tarda, anche perché i capelli invece di cadere verso il basso stanno aderenti alla testa, come se la figura fosse in piedi.
Si pensa perciò che la statua sia stata creata fondendo modelli ellenistici del III-II secolo a.C. per il corpo e con una testa derivata da opere greche del V secolo a.C. La sua posa singolare e particolarmente aggraziata della figura, sorpresa in un gesto inconsueto, ne ha fatto una delle opere più apprezzate e copiate del Rinascimento, e insieme ha suscitato numerosi spunti interpretativi sull'identificazione del personaggio.

Articolo di Alessio F.

Busto di Medusa.


E' situato nei Musei Capitolini e realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Si narra che la Medusa aveva il potere di pietrificare qualsiasi cosa o persona che osasse incrociare il suo sguardo.
Quest’opera è stata realizzata da Bernini, scolpisce un vero e proprio ritratto della più bella e mortale delle Gorgoni, si tratta di un busto e non di una testa, fermata nel momento transitorio della metamorfosi.
La Medusa sta osservando in un non reale specchio la sua immagine riflessa ed è raffigurata nel momento in cui prende coscienza della dolorosa beffa e materialmente si trasforma in un marmo.
La Medusa secondo l’idea di Bernini, è una raffinata metafora barocca sulla scultura e sulle virtù dello scultore che ha il potere di lasciare "impietrito" dalla bellezza chi ammira la bravura e l’abilità del suo scalpello.

Articolo di Dylan M.