lunedì 25 maggio 2015

Le navi di Caligola a nemi

Il lago di Nemi è il più piccolo dei laghi di origine vulcanica che si trovano sui colli Albani, nei pressi di Roma.
La località intorno al lago era sacra a Diana, per cui vi era stato costruito in epoca antica un tempio dedicato alla dea dei boschi.
In età imperiale, Caligola fece costruire sul lago, per trascorrervi i suoi otia o per celebrarvi riti e feste in onore di Diana, due gigantesche navi ricche di sovrastrutture murarie ed impreziosite di bronzi, marmi ed altri materiali pregiati.
Le due navi, a chiglia piatta, interamente conservate, misuravano una m 73 di lunghezza x 24 di larghezza e l'altra m 71 x 20, ambedue in robusto fasciame di pino, rivestite esternamente di lana catramata e di lamiere di piombo, fissate al fasciame con chiodini di rame.
La certezza dell'identità del committente si raggiunse quando, fra i numerosi reperti estratti dalle acque, comparvero le così dette fistula e acquarie, sulle quali era inciso il nome di Caligola.
Erano le grandi tubazioni in piombo di un impianto idraulico accessibile solamente a persone particolarmente ricche e potenti dell'antica Roma, che portavano l'acqua corrente sino all'interno di palazzi patrizi, dove veniva utilizzata per bere e per alimentare le fontane fastose.
Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente, su cui si stampigliava il nome del proprietario, spesso il nome del "liberto idraulico" e a volte il numero progressivo.
Sulle navi Caligola fece erigere costruzioni analoghe alle ville patrizie, con terme e templi coperti da tegole in terracotta oppure di rame dorato. E poi colonne di varia grandezza e foggia, pavimenti in mosaico, statue e altre opere in bronzo finemente lavorato, protomi leonine, ghiere per i timoni, erme bifronti che costituivano una balaustra; strumenti e suppellettili di artistica fattura.
L’archeologia marinara trovò un tesoro inestimabile nelle due grandi ancore: la prima in legno con ceppo in piombo della lunghezza di 5 mt rappresenta l’unico esemplare completo conosciuto all’epoca di questo tipo. La seconda, in ferro a ceppo riscuote un incredibile interesse dal momento che si credeva ideata dal capitano inglese Rodger e che era stata presentata all’Esposizione del 1851 come una grande novità.
La Commissione arrivò ad escludere che l’incendio fosse stato provocato da bombe di aviazione e da proiettili d’artiglieria, concluse che l’incendio degli scafi e dell’edificio fosse di origine dolosa, considerati anche i danneggiamenti volontari inflitti dai soldati tedeschi al patrimonio archeologico del Museo e il mancato utilizzo dei sistemi di spegnimento in dotazione
Così furono distrutte testimonianze archeologiche uniche per importanza e stato di conservazione.
Oggi ci rimangono fotografie e pubblicazioni che ci ricordano questa gloriosa, ma sfortunata impresa.

Articolo di Jacopo D.

giovedì 21 maggio 2015

Il camillo.

Il Camillo o Camillus in latino era, nel mondo romano, il giovane che aiutava il sacerdote nelle cerimonie di sacrificio agli dei. È una statua fatta di bronzo fuso, con gli in argento, indossa una corta tunica senza maniche, stretta in vita da una cinta chiusa con un fiocco,inoltre è decorata con due strette fasce verticali fatte di rame che riproducono le strisce di porpora delle figure di offerenti.
La figura armonizza elementi iconografici e concezioni plastiche provenienti da epoche diverse dell’arte greca fondendole in un gusto elegante e raffinato.
La testa mostra caratteri femminili e rimanda ai modelli delle Dee greche di età classica nella resa della pettinatura, della fronte e delle sopracciglia.
Se la testa mostra caratteri femminili, le proporzioni del corpo, la modalità di composizione e di adattamento della veste al corpo sono piuttosto di tipo maschile.
La distribuzione del peso del corpo ricorda quello di un’altra statua nel tempio di Era (la statua era dedicata ad Ebe la giovinezza), dalla quale potrebbe essere stato ripreso sia il gesto sia più in generale lo schema iconografico del Camillo.
L’ambigua caratterizzazione sessuale di questa figura ha portato nel tempo a differenti interpretazioni.
La datazione è da porsi in età claudio-neroniana (14 a.C-68 d.C.) in base alle caratteristiche di realizzazione della veste e di alcuni caratteri del volto e della capigliatura.

Articolo di Alessio F.

Lo Spinario

Lo Spinario è una scultura ellenistica, raffigurante un giovane seduto mentre, con le gambe accavallate mentre si sporge di fianco per togliersi una spina dalla pianta del piede sinistro.
La statua probabilmente inspirò il mito di Gnaeus Martius che, incaricato di consegnare un importante messaggio al Senato compiendo un lungo tragitto, si affrettò ignorando la spina che gli era entrata nel piede, fermandosi per estrarla solo a missione compiuta.
Oggi si pensa che lo spinario capitolino sia una statua composta da due parti ed assemblata nel I secolo a.C., con il corpo ellenistico e la testa più tarda, anche perché i capelli invece di cadere verso il basso stanno aderenti alla testa, come se la figura fosse in piedi.
Si pensa perciò che la statua sia stata creata fondendo modelli ellenistici del III-II secolo a.C. per il corpo e con una testa derivata da opere greche del V secolo a.C. La sua posa singolare e particolarmente aggraziata della figura, sorpresa in un gesto inconsueto, ne ha fatto una delle opere più apprezzate e copiate del Rinascimento, e insieme ha suscitato numerosi spunti interpretativi sull'identificazione del personaggio.

Articolo di Alessio F.

Busto di Medusa.


E' situato nei Musei Capitolini e realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Si narra che la Medusa aveva il potere di pietrificare qualsiasi cosa o persona che osasse incrociare il suo sguardo.
Quest’opera è stata realizzata da Bernini, scolpisce un vero e proprio ritratto della più bella e mortale delle Gorgoni, si tratta di un busto e non di una testa, fermata nel momento transitorio della metamorfosi.
La Medusa sta osservando in un non reale specchio la sua immagine riflessa ed è raffigurata nel momento in cui prende coscienza della dolorosa beffa e materialmente si trasforma in un marmo.
La Medusa secondo l’idea di Bernini, è una raffinata metafora barocca sulla scultura e sulle virtù dello scultore che ha il potere di lasciare "impietrito" dalla bellezza chi ammira la bravura e l’abilità del suo scalpello.

Articolo di Dylan M.

I Fasti consolari.

I fasti consolari sono conservati nei Musei Capitolini e sono delle incisioni su marmo.
Sono stati trovati al foro Romano ma poi spostati ai Musei Capitolini. La scoperta di questi fasti si pensa che sia stata del tutto casuale giacché furono trovati durante lo scavo di una fornace per la cottura della calce, davanti al tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano.
Dopo il ritrovamento, su progetto di Michelangelo, i Fasti Capitolini sono stati collocati in fondo alla parete del Cortile del Palazzo.
I frammenti dei fasti sono stati restaurati a secondo la decisione del cardinale Alessandro Farnese, poi sono stati portati all'interno del Palazzo dei Conservatori al Campidoglio e per questo motivo sono indicati come Fasti Capitolini. Altri frammenti sono stati trovati durante ulteriori scavi nel Foro Romano tra il 1816 e il 1818, negli stessi luoghi dove furono trovati i primi e più numerosi frammenti.

Articolo di Dylan M.

Sala dei Capitani

La sala dei capitani è stata affrescata dal pittore siciliano Tommaso Laureti. Gli affreschi presenti,“La giustizia di Bruto”, “Orazio Coclide sul ponte Sublicio”, “Muzio Scevola e Porsenna “e “La vittoria del lago Regillo”, nella sala esaltano le virtù dell’antica Roma.
Il soffitto a cassettoni, è composto da tele dipinte che raffigurano episodi del poema “La Gerusalemme liberata”.
Questa sala viene scelta per celebrare le virtù degli uomini della fine del XVI secolo. Sulle pareti ci sono delle lapidi in loro memoria e alcune statue celebrative di condottieri.
La giustizia di Bruto

Questo affresco rappresenta il momento in cui Bruto e Collatino, assistono all’esecuzione dei figlio di Bruto.
Orazio Coclide sul ponte Sublicio

Rappresenta Orazio, che combatte con i suoi nemici, mentre i romani distruggono il ponte Sublicio per difendere la città.
Muzio Scevola e Porsenna

Rappresenta il momento in cui Muzio, non riuscendo ad uccidere il re etrusco, lascia bruciare la sua mano che aveva fallito il colpo.
La vittoria del lago Regillo

In questo affresco i gemelli, figli di Giove, guidano l’esercito romano nella battaglia del lago Regillo che sancì la supremazia di Roma sulle città del Lazio.
Articolo di Giulia C.

giovedì 14 maggio 2015

Tempio di Giove Capitolino



Il tempio di Giove Capitolino era il più importante dei templi presenti a Roma e forse il più importante di tutto lo Stato. Era dedicato a Giove Ottimo Massimo, a Giunone e Minerva: la "triade capitolina".

La costruzione fu iniziata da Tarquinio Prisco, poi però i lavori rimasero a lungo sospesi e vennero ripresi e ultimati da Tarquinio il Superbo con l'intervento di artisti e artigiani etruschi.
Il tempio fu inaugurato solo all'inizio della Repubblica nel 509 a.C. da uno dei due consoli del primo anno della Repubblica (M. Orazio Pulvillo).
L'edificio sorgeva su un alto podio con scalinata di accesso frontale.
Doveva essere circondato da un colonnato su tre lati, mentre quello di fondo era chiuso da un muro continuo. Per metà era costituito dal pronao con altre due file di colonne allineate con quelle della facciata.
Dal pronao si accedeva a tre celle. Quella centrale, più larga delle altre era dedicata a Giove; quella di sinistra era dedicata a Giunone; quella di destra a Minerva.
Sul tetto era presente una grandiosa quadriga in terracotta, realizzata dall'artista etrusco Vulca di Veio nel VI sec. a.C. su commissione di Tarquinio il Superbo. Questa statua fu sostituita poi da una di bronzo all'inizio del III sec. a.C.
Dopo la distruzione totale provocata dai violenti incendi dell'83 a.C., del 69 e dell'80 d.C il tempio fu ricostruito in marmo. In seguito, con il suo abbandono fu avviata l'opera di spoliazione e ne rimase solo gran parte del basamento del tempio più antico.
Questi resti sono costituiti da enormi strutture murarie parallele a blocchi di cappellaccio, testimoniano la grande estensione del basamento del tempio (circa 55x60 m).

Articolo di Daniele R.

Sala degli Orazi e Curiazi.


Una delle sale più importanti del Palazzo dei Conservatori è la Sala degli Orazi e Curiazi.
Questa sala è ricca di affreschi, concepiti come arazzi stesi lungo le pareti, raffiguranti alcuni episodi della più antica storia di Roma.
Sui lati corti della sala sono contrapposte due monumentali statue di papi: una marmorea raffigurante Urbano VIII, opera di Gianlorenzo Bernini e dei suoi allievi; una in bronzo raffigurante Innocenzo X, opera di Alessandro Algardi.
L'incarico di decorare la sala fu affidato nel 1595 a Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, esponente di spicco del manierismo romano.
La conclusione dei lavori era prevista per il Giubileo del 1600, ma nel 1613 erano compiute solo le prime tre scene. Dopo una interruzione di oltre vent'anni i lavori terminarono nel 1640.
Il ciclo degli affreschi illustra, in ordine di esecuzione, i seguenti esempi:

Gli affreschi della sala degli Orazi e dei Curiazi.

Ritrovamento della lupa con Romolo e Remo (1596)
Faustolo scopre sotto i rami di un fico, sulla riva del Tevere, la Lupa che allatta Romolo e Remo. Nella figura della lupa è evidente il richiamo alla Lupa capitolina conservata nel palazzo e simbolo della città. 

Battaglia di Tullo Ostilio contro i Veienti e i Fidenati (1597-1601) 
Con vivacità, è rappresentato un episodio della guerra di espansione intrapresa dai Romani contro le città vicine al tempo di Tullo Ostilio, terzo re di Roma.

Combattimento tra gli Orazi e Curiazi (1612-1613) 
Episodio della guerra di Roma contro la vicina città di Albalonga che si concluse con un duello tra i rappresentanti di Roma, gli Orazi, e quelli di Albalonga, i Curiazi. Gli eserciti contendenti assistono alla scena finale del duello. 

Ratto delle Sabine (1635-1636)
In primo piano è il gruppo delle donne Sabine rapite dai Romani per popolare la città da poco fondata.
L'affresco, eseguito dopo circa vent'anni d'interruzione, mostra una tecnica pittorica più rapida e sommaria, propria della tarda maniera del Cavalier d'Arpino.

Romolo traccia il solco della Roma quadrata (1638-1639)
Narra la mitica fondazione di Roma. Romolo delimita i confini della città tracciando un solco con l'aratro.

Articolo di Gabriel C.

lunedì 11 maggio 2015

L'Ermafrodito dormiente

L'Ermafrodito dormiente, è una scultura in marmo, raffigurante il personaggio della mitologia greca Ermafrodito, figlio di Ermes e Afrodite.
Il mito racconta che Ermafrodito e la ninfa Salmace si siano uniti in un solo corpo dando vita a un nuovo essere con dei caratteri maschili e femminili.
La scultura raffigura un ragazzo che sembra girarsi nel sonno per mostrare i suoi caratteri di entrambi i sessi. Infatti, abbiamo due punti di vista: quella posteriore e quella anteriore.
La vista dal fianco destro in primo piano, suggerisce la bellezza di un corpo femminile e, a un primo sguardo, anche i lineamenti del viso ricordano quello di una donna.
Invece dalla parte opposta si scopre l’organo sessuale maschile e dunque si svela la doppia identità di Ermafrodito: “L’opera è stata sempre ricercata e amata, soprattutto come elemento decorativo, per il suo tema ambiguo, per la sua figura un po’ inquietante un po’ perversa, che unisce gli aspetti femminili e maschili, rappresentando i due sessi” dice la sig.Paris, direttrice del Museo Massimo di Roma, che ospita l’opera.
Il ritrovamento dell’opera è avvenuta nell’ attuale via XX Settembre che, agli inizi del Seicento, era quasi completamente disabitata e caratterizzata dalle rovine delle terme di Diocleziano (244-313 d.C.).
Questa è solo una copia dell’ originale,infatti la statua venne realizzata in epoca ellenistica e poi modificata nel seicento da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), il quale aggiunse un materasso sotto la statua per riprodurre nella durezza del marmo la morbidezza del giaciglio.
Questa scultura è una delle più belle e, più “perverse” del mondo antico.

Articolo di Davide D.

Il generale di Tivoli

Uno degli esempi tipici dell’unione di elementi ellenistici e romani è la statua del Generale di Tivoli realizzata per un condottiero di Tivoli intorno al 70 A.C.
La celebrazione a Tivoli fa ritenere che si possa trattare di un individuo originario del luogo, probabilmente un luogotenente di Silla effigiato a proprie spese, o per onorificenza pubblica, nel più importante santuario della città dedicato al dio-eroe con l’appellativo di Victor, ossia protettore delle imprese militari.
La statua è stata rinvenuta durante gli scavi del 1925 nel Santuario di Ercole Vincitore di Tivoli.
Oggi la statua è conservata all’interno del Museo Nazionale Romano di Roma. Essa rappresenta un personaggio di età avanzata raffigurato con corpo giovanile e nudo.
Il mantello (paludamentum), che copre parte del ventre e delle gambe, e la corazza sbalzata con testa di Medusa (lorica) che funge da sostegno, lo identifica come un militare di alto rango.
E’ presumibile che il braccio destro, attualmente non esistente, fosse sollevato, come suggerisce la muscolatura del petto, e che la figura si appoggiasse ad una lancia. Tale schema deriva dalle raffigurazioni ellenistiche in “nudità eroica” (effigies achilleae).
I tratti del viso, solcato dai segni della vecchiaia, e con le labbra leggermente aperte, sono tipici della ritrattistica romana e contrastano con il corpo muscoloso tipico delle sculture tardo ellenistiche, così da rappresentare uno degli esempi più tipici di fusione tra l’arte ellenistica, con il suo carattere nobile, e quella romana, con il suo realismo fisico.

Articolo di Andrea D.

Augusto Pontefice Massimo

La statua di Augusto di via Labicana è un ritratto dell'Imperatore Augusto, in marmo, alta circa 2 m., essa posa sopra un plinto alto 9 cm. Questa statua prende il nome alla zona dove venne ritrovato vicino al colle Oppio, in via Labicana.
La statua raffigura Augusto in piedi intento a celebrare un sacrificio. L'imperatore è ritratto a capo coperto nelle vesti di pontefice massimo, a causa dell’assenza delle braccia è difficile capire quale sacrificio stava facendo, probabilmente nella mano destra teneva la “patera” cioè un piatto rituale per lo spargimento di vino durante un sacrificio, e nella sinistra il “volumen”. La statua è composta di due tipi di marmo diversi; la testa è formata da un marmo di tipo “grechetto” mentre il resto del corpo è formato da un tipo di marmo detto“lunense”.
Come in altre opere dell'arte augustea la realizzazione è piuttosto fredda soprattutto nel volto e nel trattamento dei capelli. Tuttavia il volto è scolpito, con superfici lisce ampie, ma mosse per evitare il volto appiattito.
La statua che ci è pervenuta è una copia di età tiberiana di un ritratto dell'imperatore eseguito alla fine del I secolo a.C. o all'inizio del I d.C.. I tratti del volto sono piuttosto scheletrici, infatti rappresentano gli ultimi anni di vita, con i segni già visibili della malattia e della stanchezza. Si tratta del più importante ritratto augusteo di questo periodo "finale", tra i pochi trovati a Roma.
Le ampie pieghe della toga sono molto curate. La testa viene accompagnata con leggera inclinazione e accenna il movimento di una persona vivente; questa è coperta da una tunica a larghe maniche, le quali non giungono oltre il gomito e arrivano alla caviglia, lasciando i piedi scoperti e ben visibili.

La storia di Augusto

L'arte augustea è l'arte prodotta nell'Impero Romano sotto il regno di Augusto, dal 44 a.C. al 14 d.C., e sotto la dinastia giulio-claudia.
Nel 45 Augusto fu adottato da Cesare per testamento. Nel 38 sposò Livia Drusilla e dal 31 a. C ebbe inizio il suo comando sul mondo romano.
Nel 27 il Senato gli assegnò il titolo di Augusto e sulla sua casa fu posta, segno di onore e di riconoscenza, la "corona civica".
Nel 12 a.C. alla morte di Lepido, divenne Pontefice Massimo, poté modificare l’organizzazione di Roma e introdusse nuove festività in onore del principe della Domes Agustea. Inoltre Augusto fece la riforma del calendario, una rivoluzione che cambiò l’ordine del tempo. Morì a settantasei anni nel 14 d. C., lasciando erede Tiberio.

Articolo di Federico M.

L’Afrodite accovacciata

All’interno delle sale del Palazzo Massimo troviamo la statua dell’ Afrodite accovacciata,copia romana ispirata alla celebre opera Afrodite di Doidalsas.
La bellissima scultura femminile, raffigurante la sensuale dea Afrodite , è colta in una posa insolita: è rappresentata accovacciata sulle ginocchia pronta a ricevere sulla schiena un getto d’acqua, durante il bagno sacro.


Un’altra interpretazione considera l’opera come una “posa pudica”: Afrodite, mentre si accorge di uno spettatore improvviso, voltando la testa cerca di coprire con le mani sia il seno che il pube.
Generalmente, questo tipo di statue venivano inserite in contesti acquatici (terme, fontane),spesso corredate da un piccolo Eros,che versa l’acqua sulla schiena della dea.
Questa opera è una delle tante copie romane in marmo, con diversi varianti di un originale bronzeo greco attribuito da Plinio il vecchio, allo scultore Doildalsas, attivo in Bitinia nel III secolo a.C.
Tra le innumerevoli copie romane realizzate, la migliore copia è considerata questa presente al Museo Nazionale romano di Palazzo Massimo; ne ritroviamo un’altra acefala (senza testa) e senza braccio al Museo del Louvre a Parigi.

Scritto da Petro L.



Il Palazzo Massimo alle terme.

Il Palazzo Massimo alle Terme è la principale delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano (oltre alla Crypta Balbi, le Terme di Diocleziano e Palazzo Altemps).

Il Palazzo Massimo fu costruito dall'architetto Camillo Pistrucci alla fine dell'Ottocento in stile neorinascimentale, nei pressi della Stazione Termini, ed accoglie una delle più importanti collezioni di arte classica al mondo.
Il palazzo, che svolse la funzione di collegio d’istruzione fino al 1960, è stato acquistato dallo Stato italiano e restaurato per la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma. La sede museale, inaugurata nel 1998, ospita le sezioni di arte antica, numismatica e oreficeria del Museo Nazionale Romano.
L’edificio si divide in quattro piani:

  • Al piano terra sono esposti splendide sculture greche rinvenute a Roma, come il Pugile in riposo, il Principe ellenistico e la Niobide morente; tra i ritratti degli imperatori spiccano la statua di Augusto Pontefice Massimo, i ritratti dei principi e delle principesse delle dinastie Giulio-Claudia e Flavia, la testa di Adriano, la statua di Antonino Pio, il busto di Settimio Severo;
  • Al primo piano sono presenti celebri capolavori della statuaria, tra cui il Discobolo Lancellotti, la Fanciulla di Anzio e l’Ermafrodito dormiente, e magnifici sarcofagi, di notevole importanza sono anche le sculture in bronzo che decoravano le navi di Nemi e il sarcofago di Portonaccio, decorato con una scena di battaglia fra Romani e Barbari;
  • Al secondo piano sono esposti affreschi e mosaici pavimentali che documentano la decorazione domestica di prestigiose residenze romane, come affreschi il giardino dipinto della villa di Livia e le stanze della villa Farnesina, invece come mosaici abbiamo decorazioni della villa di Baccano e della basilica di Giunio Basso;
  • Il piano interrato custodisce l’ampia collezione numismatica, oltre a suppellettili, gioielli e la mummia di Grottarossa.
Articolo di Alessandro C.

domenica 10 maggio 2015

Il Principe Ellenistico

Il Principe Ellenistico è una statua in bronzo appartenente alla collezione del Palazzo Massimo. Il Principe impugna nella mano sinistra un asta moderna su cui si appoggia e che serve a sostituire la lancia originaria, mentre il braccio destro e appogiato sul gluteo destro e cio fa dedurre che il personaggio è in posizione di riposo. La testa fa notare ,per via dei particolari, che la scultura dovrebbe essere un ritratto del sogetto e non una scultura onoraria. Un'altra caratteristica della testa è il netto contrasto per via delle piccole dimensioni rispetto al resto del corpo. Nella zona dell'ombellico sono incise delle lettere (L.VI.P.L.XXIIX) che sono servite per catalogare la scultura nell'età repubblicana, mentre il monogramma MAR inciso sulla coscia destra non ha ancora un significato definito. Il Principe è rapresentato in nudità eroica e la struttura della statua è molto simile a quella dell'Alessandro con lancia di Lisippo. L'ipotesi iniziale era quella che la statua rappresentasse Attalo II , abile stratega e generale, nonchè re di Pergamo, ma interpretazioni più recenti, che si basano anche sui dettagli del volto del soggetto, indentificano un personaggio romano che ha avuto rapporti con il mondo ellenistico ed ha deciso di farsi ritrarre in nudità eroica come un principe. I caratteri della statua fanno pensare che sia stata scolpita nella metà del II secolo a.C. Questa scultura, insieme al pugilatore, è sicuramente una delle sculture in bronzo più rare di quell'epoca

Articolo di, Paolo F.

L'Afrodite accovacciata

All’interno delle sale del Palazzo Massimo troviamo un esemplare dell’ Afrodite accovacciata, ispirata alla celebre opera Afrodite di Doidalsas. La bellissima statua femminile, raffigurante la sensuale dea Afrodite, è colta in una posa insolita: è rappresentata accovacciata sulle ginocchia pronta a ricevere sulla schiena un getto d’acqua, durante il bagno sacro. Un’altra interpretazione considera l’opera come una “posa pudica”: Afrodite, mentre si accorge di uno spettatore volontario, voltando la testa cerca di coprire con le mani sia il seno che il pube. Si tratta di una delle tante copie romane in marmo, con diversi varianti di un originale bronzeo greco attribuito appunto, secondo quanto riporta Plinio il vecchio, allo scultore Doildalsas, attivo in Bitinia nel III secolo a.C. Generalmente, le innumerevoli copie realizzate venivano inserite in contesti acquatici (centri acquatici,fontane),spesso corredate da un piccolo Eros,che versa l’acqua sulla schiena della dea. La migliore copia di epoca romana è considerata proprio questa presente al Museo Nazionale romano di Palazzo Massimo. Un’altra copia acefala (senza testa) e senza braccio è al Museo Louvre a Parigi.

Articolo di, Petronella L.

L'Ara Martis di Campo Marzio.





In origine l'area compresa tra il Pincio a nord, il Campidoglio a sud, il Quirinale e il Tevere, era una vasta pianura alla quale venne dato il nome di "Campus Martis" a causa della presenza di un antico santuario dedicato al dio Marte, tutta questa pianura venne utilizzata principalmente da funzioni di carattere extraurbano e rimase per lungo tempo al di fuori delle mura.
In genere nel Campo Marzio si svolgevano tutte quelle manifestazioni che comportavano un grande afflusso di popolo, ad esempio riti e cerimonie, giochi e gare, riunioni e assemblee politiche, inoltre, data la vastità, venivano svolte le esercitazioni e le adunate militari.
Verso la seconda metà del V secolo a.C. vennero costruiti alcuni edifici come ad esempio il Tempio di Apollo e fu dato avvio a una vera e propria opera di urbanizzazione alla quale parteciparono importanti personaggi politici dell'antica Roma come Pompeo, Cesare e Augusto.
Nascono alcuni progetti come quello di Cesere che consisteva nel deviare il corso del Tevere per unire insieme il Campo Marzio e il Campo Vaticano.
Nel 1925 vennero scoperti i resti di un edificio monumentale, si tratta di un muro perimentale, con nicchie per le statue, di una lunghezza di circa 60 m. In base alle fonti ricavate si pensa che al centro di questo recinto possa trovarsi l'Ara Martis, l'altare di Marte che diede il nome al Campo Marzio.

Articolo di, Alessio M.

Villa della Farnesina

La Villa della Farnesina, dimora di epoca augustea, fu riportata alla luce a Trastevere nel 1879. I resti della villa furono esplorati solo in parte, ma l’elevata qualità delle decorazioni impose il recupero di affreschi da allora conservati nel Museo Nazionale Romano. Nell’allestimento di Palazzo Massimo le decorazioni asportate sono state ricomposte all’interno di stanze ricostruite nelle dimensioni originarie. Si è cercato di ricreare, la sequenza delle percezioni visive che si potevano avere in antico, percorrendo la lunga galleria del criptoportico fino al giardino, dove si affacciavano il triclinio invernale e due cubicoli dalle pareti rosso cinabro, per poi raggiungere, attraverso un altro corridoio, un terzo cubicolo. Gli svariati richiami al mondo egiziano presenti nelle decorazioni della villa possono essere letti come una celebrazione della conquista dell’Egitto. Gli affreschi, esemplari della grande pittura di età imperiale a Roma, sono classificabili nella fase finale del secondo stile.

Articolo di, Fabio C.

mercoledì 6 maggio 2015

I calendari romani.

GDurante la rivoluzione d’Augusto era il pontefice massimo la figura preposta alla gestione dei calendari, di cui il Museo Nazionale in Palazzo Massimo a Roma, conserva le lastre dei Fasti Antiates e dei Fasti Prenestini; calendari che segnavano il tempo prima e dopo la riforma di Giulio Cesare nel 46 a.C.
Augusto, pontefice massimo, poté modificare l’organizzazione del tempo nel proprio Impero, introducendo festività in onore del principe e della Domus Augusta.
Rispetto al precedente uso, in cui venivano riportate esclusivamente feste legate alle divinità, I Fasti con Augusto diventano un vero e proprio strumento di propaganda della figura del princeps.
Il cambiamento porta con sé l’introduzione di nuovi riti influendo anche nella riorganizzazione della città con inedite cerimonie in spazi civici e monumenti pubblici.

I Fasti illustrano la rivoluzione che Augusto mette in atto attraverso la manipolazione del calendario all’interno del quale inserisce, accanto alle antiche feste sempre rigorosamente rispettate, nuove feste che ricordano episodi legati alla vita del princeps e della sua famiglia (nascite, morti, vittorie, onorificenze).
Questo cambiamento determina un nuovo modo di pensare e di vivere all’interno dell’Impero. I calendari sono definiti anche “Fasti” poiché il termine indicava i giorni dell’anno in cui si poteva compiere l’attività amministrativa ed erano accompagnati dai Fasti consolari, ossia la lista dei consoli, e, nelle altre città, la lista dei magistrati locali.

Breve storia.

Il più antico calendario, di tipo lunare, è attribuito dalla tradizione a Romolo; composto da dieci mesi per un totale di 304 giorni, l’anno iniziava da Marzo. L’aggiunta dei due mesi che precedono Marzo è attribuita a Numa. Il calendario apparteneva alla sfera del sacro ed era dunque affidato ai pontefici: all’inizio esso era segreto e solo nel 304 a.C fu reso pubblico. Nel 46 a.C fu necessaria la riforma di Giulio Cesare, allora pontefice massimo, che si avvalse delle conoscenze del celebre astronomo matematico Alessandrino Sosigene per modificarlo. Struttura Nel calendario la settimana era composta da 8 giorni, contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto da A ad H, lettere che si succedevano in senso verticale nella prima colonna. Il nono giorno, contrassegnato dalla lettera A era il giorno delle fiere e dei mercati. Nella seconda colonna erano indicati i giorni mancanti alle none e alle idi del mese corrente e alle calende del mese successivo; nella terza colonna erano segnate le cadenze fisse.

Fasti AntiatesMaiores

I calendari precedenti alla riforma di Cesare; questi rimasti in vigore fino al 46 a.C sono gli unici sopravvissuti alla riforma. I Fasti Antiates, sono stati composti tra l’ 84 e il 46 a.C. Si conservano frammenti con 12 colonne relative a tutti i mesi, la tredicesima colonna, corrisponde al mese intercalare, per un anno dalla durata di 355 giorni. Il nome dei mesi è indicato in alto all’inizio di ogni colonna, in fondo è riportato il numero del mese. Le feste indicate sono solo in onore degli Dei.

I Fasti Prenestini.

I Fasti Prenestini provengono da Praeneste, l’odierna Palestrina; erano esposti nel Foro, addossati a un emiciclo al centro del quale si trovava la statua del loro compilatore, VerrioFlacco, celebre erudito che Augusto aveva scelto come precettore dei suoi nipoti. I Fasti Prenestini erano composti da dodici lastre marmoree leggermente concave, rinvenute tra il 1769 e il 1771. I numerosi frammenti recuperati e ricomposti sono relativi ai quattro mesi di gennaio, marzo, aprile e dicembre.